Pagina:Neera - Una passione, Milano, Treves, 1910.djvu/234

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Lilia leggeva nell’animo di Ippolito l’impressione che gli facevano questi quadri di una vita semplice e forte, e più ancora l’inconscia simpatia che gli destava l’idillio dei giovani sposi benedetto da quell’amore di bimbo. Non era gelosa, no, ma rifletteva e qualche volta si faceva melanconica.

La porticina dell’orto dischiusa improvvisamente dinanzi al sogno aveva posto sotto i loro occhi la realtà della vita e mentre Ippolito credeva di non scorgervi altro se non la leggiadria di una nuova visione, l’istinto sagace di Lilia le faceva presentire il pericolo. — Pensa — le aveva detto Ippolito un giorno — questo bambino non sa che deve morire! Parole profonde di dolore umano, alle quali Lilia aggiungeva: Non sa che cosa sia l’amore! Per questo Ni era tanto felice.

Oltre alla sua professione di bimbo felice Ni faceva presagire un temperamento da filosofo. Signore di tutte le farfalle, formiche, bruchi, moscerini che si trovavano nel suo regno aveva pure a sua disposizione una quantità di sassolini, di sabbia, di foglie, di fuscelli, intorno ai quali si metteva a lavorare con certi suoi criteri architettonici non sempre conformi alle leggi di gravità, così che i fabbricati crollavano sotto le sue manine prima ancora di essere eretti; ma egli non si sgomentava perciò e rotto un