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54 Neera


faccia lunga, terrea, impenetrabile che provocava l’irosa esclamazione della cognata: Per quanto si faccia, Severina non è mai contenta!

Eppure fino a quel giorno Severina sperava ancora; finchè mancavano dodici ore, sei ore, un’ora, poteva succedere una rivoluzione, un cataclisma, un miracolo, chi lo sa cosa poteva succedere! Levandosi dal letto, alla mattina, aveva detto: «Quando tornerò a coricarmi avrò quarant’anni» — ma un folle barlume, una lusinga non ragionata, la tenevano sospesa come alla vigilia di misteriosi eventi.

Aveva anche pensato: «Queste ultime ore di giovinezza le voglio godere». Ma come! Che fare? Il sangue le ribolliva, il cervello fantasticava, una smania atroce di trattenere il tempo la rendeva quasi febbricitante. Le ore passavano ed ella le contava scorata. Non succedeva nulla.

La posta le recò due o tre lettere ch’ella aperse con mano tremante: Complimenti, voti, luoghi comuni. Finalmente le avevano regalato l’abito caffè e latte, il lumino, il copripiedi...

A mano a mano che il giorno finiva la faccia di zia Severina diventava sempre più impenetrabile. A tavola, dove c’erano stati i brindisi e una poesiuccia recitata dalle nipotine con tanti auguri di lunga vita, la zia era ammutolita affatto; due dita di marsala la resero funebre addirittura.

Finalmente potè ritirarsi nella sua camera, deporre i doni sul tavolino e sè stessa sulla sponda del lettuccio.

La fiamma oscillante della candela le danzava davanti agli occhi, dando noia ad una congiuntivite incipiente; alzò la mano, e così riparata si pose a riflettere, ma non erano, a rigor di termine, riflessioni le sue. Erano visioni, erano quei