Pagina:Nietzsche - La Nascita della Tragedia.djvu/103

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l’io lirico è universale 51


è altro per lui che un’immagine, la cui espressione collerica egli gode con quel suo gusto di sogno alla visione, in modo che da questo stesso specchio della visione egli è protetto dall’identificarsi e fondersi con le sue figure; all’opposto le immagini del lirico non sono altro che egli stesso e, per così dire, non sono altro che diverse obiettivazioni di sé stesso, tanto che egli può dire «io» appunto perché è il centro motore di quel mondo; con questo, però, che cotesto «io» non è punto lo stesso «io» dell’uomo desto, dell’uomo empirico-reale, sibbene è l’«io» unico, universale ed eterno, vivente in fondo a tutte le cose, attraverso il riflesso del quale il genio lirico penetra con l’occhio del sentimento appunto in cotesto fondo di tutte le cose. Se ora noi immaginiamo che in mezzo a coteste figurazioni egli veda anche sé stesso come non genio, ossia veda anche il proprio «subietto», veda tutto quanto il groppo delle passioni e volizioni subiettive indirizzate a uno scopo determinato che a lui sembra reale; se ora pare quasi che il genio lirico sia uno col non genio a lui legato, e che il primo parli di sé quando pronunzia il monosillabo «io»; rimane stabilito, che questa parvenza non può più trarci in inganno, come ha indubbiamente tratto in inganno coloro che hanno qualificato il lirico come poeta subiettivo. In verità Archiloco, l’uomo infiammato dalle passioni, ardente di amore e di odio, è meramente una visione del genio, che non è più Archiloco, bensì è il genio universale, che