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il demone socratico | 117 |
espressione tocchiamo il cuore e il centro della tendenza socratica. Al cui lume il socratismo condanna tanto l’arte quanto l’etica del suo tempo: dovunque volga lo sguardo scrutatore, vede per tutto la mancanza d’intelligenza e la potenza della suggestione, e da questa mancanza inferisce l’intimo sovvertimento e l’inammissibilità della vita come è. Movendo da un tale punto, Socrate credè di dover correggere resistenza: egli, ed egli solo, si fa avanti in aspetto di disdegno e di superiorità, come il precursore di una civiltà e arte e morale conformate del tutto diversamente, in mezzo a un mondo di cui noi ascriveremmo a somma fortuna il giungere a toccare il lembo.
Ecco l’enorme perplessità che ci assale ogni volta davanti a Socrate, e che sempre più ci attrae a conoscere a fondo il senso e il fine di questo che è nell’antichità il fenomeno più meritevole d’indagine e di discussione. Chi è costui, che si attentò esso solo di negare la natura greca, che come Omero e Pindaro e Eschilo, come Fidia, come Pericle, come Pitia e Dioniso, come il più profondo abisso e l’altitudine suprema, è sicuro della nostra adorazione stupefatta? Quale potenza demonica è cotesta, che ardi gettare nella polvere un tal filtro magico? Qual semidio è questi, a cui il coro degli spiriti della più nobile umanità deve gridare: «Ahi! ahi! Tu lo hai infranto, il mondo bello, col tuo pugno possente: rovina, procombe!»?
Il mirabile fenomeno mentovato come «il demone socratico» ci dà la chiave della natura di