Pagina:Nietzsche - La volontà di potenza, 1922.djvu/156

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68 — dei giudizi che possiamo pensare: col che naturalmente non è detto, che i giudizi, pronunziati in tal modo, debbano essere stolti. L'as- senza di ogni fondamento e di logicità, un si od un no nella ri- duzione a un desiderio o ad una ripulsa, un'abbreviazione impe- rativa, di cui non si può disconoscere l'utilità: questo è il piacere e il dolore. La loro origine è nella sfera centrale dell'intelletto; il loro presupposto è un infinitamente rapido percepire, ordinare, subsumere, calcolare, argomentare : piacere e dolore sono sempre fenomeni conclusivi, non «cause». La decisione intorno a ciò che può eccitare piacere e dolore, dii>ende dal grado di potenza: la stessa cosa, che in rapporto a un'esigua quantità di potere sembra pericolo e necessità di pronta difesa, può produrre una eccitazione deliziosa, un sentimento di piacere in una coscienza che abbia un senso più grande di potenza. Ogni sentimento di piacere e di dolore presuppone già che si misuri secondo l' utilità o il danno complessivo : ( (Hindi una sfera, dove ha luogo il volere un fine (uno stato) e lo scegliere i mezzi a ciò atti. Piacere e dolore non sono mai « primor- diali ». I sentimenti di piacere e di dolore sono reazioni della volontà (aJfetti) nelle quali il centro intellettuale fissa il valore di certe mutazioni sopravvenienti rispetto al valore comples- sivo e nello stesso tempo come provocazione di azioni opposte. 319. Fino a che punto il nostro intelletto è una successione di condi- zioni di esistenza — : noi non lo avremmo e non lo avremmo così, se non ci fosse necessario così, ossia se avessimo potuto vivere an- che diversamente. 2. Conoscenza. - a Generalità. 320. Si dovrebbe sa_ge^re, che cosa è l'essere, per distinguere se questa o quella cosa sia reale (per es., i « fatti di coscienza»); e così pure ciò che è la certezza, la conoscenza e simili. — Mai poiché noi non sa ppiamo jcjò, così u na critica della conoscenza non ha senso: come potrebbe lo strumento criticare se stesso, mèn- Ire appunto per la critica non può usare che sè? Esso non può nem- meno definire se stesso! — l