Pagina:Nodier - Racconti Fantastici, 1890.djvu/76

Da Wikisource.

alle mute acque l’ultimo appello della disperazione: l’acqua insensibile soffoca la voce dell’infelice; e lo ricopre triste e fredda: divora il suo pianto e noi trasporterà mai fino alla riva. Mentre io mi dibatteva contro il terrore da cui ero oppresso e che tentavo di strappare dal mio seno qualche maledizione che risvegliasse nel cielo la vendetta degli Dei: Miserabile! sclamò Meroe, sii punito per sempre della tua insolente curiosità! Ah! tu osi violare gli incantesimi del sonno... Tu parli, tu gridi, e tu vedi... Ebbene tu non parlerai più che per lamentarti, non griderai più che per implorare invano la sorda pietà degli assenti, non vedrai più che scene d’orrore che ti agghiacceranno l’anima... E così dicendo, con una voce più acuta e straziante di quella delle iene scannate, che ancor minacciano i cacciatori, essa distaccava dai suo dito la turchese cangiante che sprezzava fiamme variate come i colori dell’iride, o come l’onda balzata dalla marea che monta, e riflette nel volgere su sè stessa i fuochi del sole nascente. Meroe preme col dito una molla sconosciuta che fa scattare la pietra meravigliosa sopra una cerniera invisibile e scopre in uno scrigno d’oro non so qual mostro incoloro e informe che salta, urla, si slancia e cade accoccolato sul seno della maga. Eccoti, disse, mio caro Smarra, il ben amato, l’unico favorito de’ miei pensieri amorosi, tu che l’odio celeste ha scelto ne’ suoi tesori per la disperazione dei figliuoli dell’uomo. Va, te lo impongo, spettro lusinghiero o ingannatore, o terribile, va a tormentare la vittima che ti abbandono, falle subire supplizi vari quanto gli spaventi dell’inferno che t’ha concepito, crudeli, inesplicabili come la mia collera. Va a satollarti colle angosce del suo cuore palpitante, a contar i battiti convulsi del suo polso che s’accelera, e t’arresta a contemplare la sua dolorosa agonia e a sospenderla per la ricominciare... A questo prezzo, schiavo fedele dell’amore, potrai al partir dei sogni ridiscendere sull’origliere imbalsamato della tua amante e stringere nelle tue braccia accarezzanti la regina dei terrori notturni... Ella disse e il mostro sì tolse dalla sua mano bruciante come la piastrella rotonda del discobolo, vola nell’aria colla rapidità de’ fuochi artificiali che si lanciano dalle navi, stende le ali bizzarramente festonate, sale, discende, ingrandisce, scema e, nano deforme e giulivo, le cui mani sono armate d’unghie d’un metallo più fino che l’acciaio, che penetrano nella carne senza lacerarla e bevono il sangue alla foggia delle pompe insidiose delle sanguisughe, sì attacca al mio cuore, si sviluppa, solleva la testa enorme e ride. Invano il mio occhio esterrefatto cerca nello spazio che può abbracciare un oggetto che lo rassicuri; i mille demoni della notte scor-