Pagina:Nodier - Racconti Fantastici, 1890.djvu/75

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bacchette d’avorio legate all’estremità per un laccio composto da tredici crini, strappati dal collo d’un superbo cavallo bianco dallo stesso ladro che ne aveva ucciso il padrone, e nella treccia flessibile ella fece volare il rombo d’ebano dai globi vuoti e sonori, il quale rumoreggiò e urlò nell’aria, e ritornò rotolando con un brontolamento sordo, e rotolò ancora rumoreggiando, poi si rallentò e cadde. Le fiamme del treppiede allora si svilupparono come lingue di colubro, e le ombre erano contente. Venite, venite, gridò Meroe, bisogna che i demoni della notte s’affollino e che i morti se la godano. Portatemi della verbena in fiore, della salvia colta a mezzanotte e del trifoglio a quattro foglie; date dei bei mazzi a Saga e ai demoni della notte.

Poi volgendo l’occhio stupito sopra l’aspide d’oro le cui spire giravano intorno al suo braccio nudo; sul braccialetto prezioso opera del più valente artefice della Tessaglia, il quale non aveva risparmiato nè per la scelta dei metalli, nè per la perfezione del lavoro, l’argento vi era incrostato in iscaglie delicate e non ve n’era una la cui bianchezza non fosse rivelata dallo splendore d’un rubino o dalla trasparenza così dolce allo sguardo di un zaffiro più azzurro del cielo; essa lo stacca, medita, sogna, chiama il serpente, mormorando parole misteriose; e il serpente animato si svolge e fugge con un fischio di gioia come uno schiavo affrancato. E intanto il rombo rotola ancora, rotola sempre rumoreggiando, rotola come la folgore lontana che si lamenta nelle nuvole trasportate dal vento e che s’estingue gemendo nell’uragano già finito. Pure tutte le volte s’aprono, gli spazi del ciclo si dispiegano, gli astri discendono, le nuvole si spianano e trasformano la soglia in atri tenebrosi. La luna, macchiata di sangue, assomiglia allo scudo di ferro sul quale si sta trasportando il corpo d’un giovane spartano scannato dal nemico. Essa gira e gravita su me il suo disco livido oscurato anche dal fumo dei tripodi spenti. Meroe continua a correre, battendo colle sue dita da cui scattano lunghi lampi le innumerevoli colonne del palazzo e ciascuna colonna dimezzandosi sotto le dita di Meroe scopre un colonnato immenso popolato da fantasmi ciascuno dei quali balte come lei una colonna, che apre altri colonnati; non v’ha colonna che non sia testimonio del sacrificio d’un neonato rapito alle carezze materne. Pietà! pietà! gridai per la madre sfortunata che disputa il bambino alla morte. Ma questa preghiera soffocata, non arrivava alle mie labbra che colla forza del soffio di un agonizzante che dice: Addio! e spirava in suoni inarticolati sulla mia bocca balbuziente. Moriva come il grido di un uomo che affoga e cercante invano di confidare