Pagina:Nodier - Racconti Fantastici, 1890.djvu/74

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estendersi fino alla tua anima.1 È cosi, Lucio, che un brivido doloroso scorreva rapidamente i miei nervi, scuotendoli di tremori inattesi come l’acuto uncinetto nel plettro che fa risuonare tutte le corde della lira sotto le dita d’un abile suonatore. La mia carne si tormentava come una secca cartilagine vicina al fuoco, il mio petto sollevato era presso a rompersi, rompendo così i legami di ferro che ravviluppavano, quando Meroe tutto ad un tratto sedutami accanto e fermato su’ miei occhi uno sguardo profondo, allungò la mano sul mio cuore per assicurarsi che il moto ne era sospeso, ve la tenne a lungo, pesante e fredda, poi si fuggì lontano colla velocità d’una freccia che la corda della balestra lancia fremendo. Ella correva sopra i marmi del palazzo, ripetendo le arie delle vecchie pastorelle di Siracusa che incantano la luna nelle sue nuvole di madreperla e d’argento, avvolta nella vastità della sala e gridava di tanto in tanto con scoppii di gaiezza orribile per chiamare non so quale amico che ella non mi aveva ancora fatto conoscere.

Mentre riguardavo pieno di terrore e che vedevo discendere lungo la muraglia premersi sotto i portici, fluttuare sotto le volte una folla di vapori distinti gli uni dagli altri, ma che non avevano della vita che le apparenze della forma, che una voce fioca come il lene mormorio dello stagno più calmo in una notte silenziosa, un colore indeciso tolto agli oggetti davanti ai quali ondeggiavano le loro figure trasparenti... la fiamma azzurrognola e scoppiettante si svolse a poco a poco dai tripodi e Meroe formidabile volava dall’uno all’altro, mormorando delle parole confuse: Qui della verbena in fiore e là tre gambi di salvia colti a mezzanotte nel cimitero dei morti di spada... qui il velo della ben amata sotto il quale il ben amato nascose il suo pallore e la sua desolazione dopo di avere sgozzato lo sposo addormentato per godere de’ suoi amori... qui ancora lo lagrime d’una tigre basita per fame, che non si consola di aver divorato uno de suoi piccini! E i suoi tratti stravolti esprimevano tanta sofferenza e tanto dolore, che mi fece quasi pietà. Inquieto nel vedere i suoi scongiuri sospesi da qualche ostacolo imprevisto, ella fe’ un balzo di rabbia, s’allontanò, e rivenne armata di due lunghe

  1. Nella Tempesta di Shakspeare, tipo inimitabile di questo genere di composizioni, l’Uomo mostro che è invaso dai maligni spiriti si lamenta anche di crampi insopportabili che precedono i suoi sogni. È singolare che questa induzione fisiologica, sopra una delle più crudeli malattie di cui la specie umana sia tormentata, non sia stata colta che dai poeti.