Pagina:Nodier - Racconti Fantastici, 1890.djvu/79

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vennero seguite da Aspide dal corpo fragilissimo e oltremodo slanciato, sormontato da una testa deforme, ma ridente, che si altalenava sulle ossa delle loro gambe vuote e smilze, simili a una sterpa agitata dal vento; di Acroni, che non han nè membra, ne voce, nè figura, nè età e che balzano piangendo sulla terra gemente come otri gonfi d’aria; degli Psilli che succhiano un tossico crudele, avidi di veleno, riddano, gettando fischi acuti per isvegliare i serpenti, per risvegliarli negli asili nascosti. nei cavi sinuosi dei serpenti. Vi eran là fino le Morfose che avete tanto amato, belle come Psiche, che danzano come le Grazie, che hanno armonie come le Muse, e il cui sguardo seduttore, più penetrante, più avvelenato del dente della vipera, incendia il nostro sangue e fa bollire il midollo nelle vostre ossa calcinate. Tu le avresti vedute, avviluppate ne’ loro lenzuoli di porpora con giranti attorno ad esse delle nubi più brillanti dell’Oriente, più profumate degli incensi d’Arabia, più armoniose del primo sospiro d’una vergine tocca dall’amore, il cui vapore inebbriante affascina l’anima per ucciderla. Presto i loro occhi mandano una fiamma umida che attira e divora; presto esse piegano la testa con una grazia sol proprio ad esse, sollecitando la vostra fiducia credula con un sorriso accarezzante, sorriso d’una maschera perfida e animata che nasconde la gioia del delitto e la lucidezza della morte. Che dirò di più? Trascinata dal turbine degli spiriti galleggianti come una nuvola, come il fuoco d’un rosso sanguigno che ascende da una città incendiata, come la lava liquida che si spande, cresce, intreccia ruscelli ardenti su una campagna di cenere... Io arrivai... arrivai. Tutti i sepolcri erano aperti... tutti i morti erano esumati... tutte le lamie pallide, impazienti, affamate erano presenti; esse rompevano le assi dei cataletti, stracciavano le vestimenta sacre, le ultime vestimenta dei cadaveri; si dividevano dei spaventevoli avanzi con una più spaventevole voluttà e con mano irresistibile, poichè io era ahimè, debole e captivo come un bimbo di latte, esse mi sforzavano di associarmi... o terrore! al loro esecrabile festino!... Nel terminare queste parole Palemone si sollevò sul suo letto e tremante, smarrito, coi capelli arricciati, lo sguardo fisso e terribile, ci chiamava con voce che nulla aveva di umano. — Ma le canzoni dell’arpa di Mirteo volavano di già nell’aria, i demoni erano tranquilli, il silenzio era calmo come il pensiero dell’innocente che dorme alla vigilia della sua condanna. Palemone dormiva, dormiva placidamente ai dolci suoni dell’arpa di Mirteo.