Pagina:Nodier - Racconti Fantastici, 1890.djvu/82

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inviluppandosi nel suo velo per evitare l’orrore del mio aspetto... l’uccisore di Polemone e della bella Mirteo!... — Io credo che il mostro mi guardi! disse una donna del popolo. Fermati, occhio di basilisco, anima di vipera, che il cielo ti maledica! — In quel mentre le torri, le vie, le città, tutto fuggiva dietro di me come il porto abbandonato fugge alla nave avventurosa, che sta tentando il destino del mare. Non rimase che una piazza di recente formata, vasta, regolare, superba, attorniata da edifici maestosi inondata da una folla di cittadini di tutti i ceti, che rinunciavano al loro dovere per obbedire all’attrattiva d’un piacere pieno di emozioni.

I crocicchi erano zeppi di curiosi avidi, tra cui si vedevano de’ giovani disputar il minuscolo postino alle loro madri o alle loro amanti. L’obelisco innalzato al disopra delle fontane, il ponte vacillante del muratore, i trespoli ambulanti dei saltimbanchi portavano degli spettatori. Uomini anelanti per impazienza e di voluttà, pendevano dalle cornici dei palazzi; e abbracciando colle ginocchia gli spigoli delle muraglie ripetevano con gioia smoderata: Eccola! Una bambina i cui occhi sbarrati annunciavano la pazzia e che aveva una tunica azzurra a sbrendoli e i capelli biondi pieni di pagliole cantava la storia del mio supplizio. Essa diceva le mie parole di morte e la confessione de’ miei delitti e il suo compianto crudele rivelava all’anima mia spaventata i misteri del delitto, impossibili a concepire per il delitto stesso. L’oggetto di questo spettacolo ero io, un altr’uomo che m’accompagnava c alcune tavole innalzate su qualche palo al di sopra delle quali il carpentiere aveva fisso una seggiola grossolana e un ceppo di legno mal squadrato, che lo sorpassava di mezzo braccio. Salii quattordici scalini; mi assisi; poi girai gli occhi sulla folla; desideroso di riconoscere dei volti amici, di trovare nello sguardo circospetto d’un addio vergognoso lampi di speranza ó di rammarico; ma non vidi che Mirteo che si risvegliava contro la sua arpa, cui tastava ridendo; non vidi che Palemone il quale alzava la sua coppa vuota e che con mano tremante e mezzo stordito dai fumi dei vino, la riempiva ancora. Più tranquillo abbandonai la mia testa alla scimitarra tagliente e diacciata dell’ufficlale della morte.

Giammai un brivido più acuto ha corso nelle vertebre dell’uomo; essa era ghiacciata come l’ultimo bacio che la febbre imprime sul collo d’un moribondo, acuto come l’acciaio raffinato, divorante come piombo fuso. Non fui sottratto a quest’angoscia che da una commozione terribile; la mia testa era caduta... aveva rotolato balzando sull’orrendo atrio del patibolo e presta a scendere tutta ammaccata tra le mani del fanciulli, de’ gentili fanciulli