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fiducia. Quella Costituzione, infatti, fu accolta in Napoli ed in tutti i paesi gelidamente. Le riforme ch’egli concesse allora apparivano non più spontanee, ma dettate dalla forza, e col pensiero alla prima occasione di romperne i patti, come avevano fatto i suoi antenati.

A questo stato di cose contribuivano anche gli emigrati napoletani in Piemonte, i quali confortavano i loro corrispondenti di Napoli a non prestare alcuno aiuto o fiducia al nuovo Re. Silvio Spaventa scriveva ad un suo amico: «la Costituzione data dai Borboni di Napoli è un fiore sopra un letamaio». Nello stesso senso Luigi Settembrini scrisse una lunga lettera ad Errico Pessina, lettera che avutone il debito permesso, fu fatta da me stampare nella mia tipografia e se ne divulgarono migliaia e migliaia di esemplari. Per l’intento medesimo apparve uno stupendo articolo di Carlo Poerio, col titolo: «i Gigli Borbonici e la Croce di Savoia».

Di questi scritti se n’è perduta la memoria, e forse sarebbe bene ripescarli e riprodurli come brani politici e letterarii di molto valore, ed anche come esempi di bello scrivere.

Memor racconta che Francesco II, nell’abbandonare Napoli, disse a Liborio Romano che gli augurava un felice ritorno: non mi faccia di questi augurii, perchè se io tornassi le farei la capo. Veramente quel Re non avrebbe dovuto far la capo a Liborio Romano, che in fin dei conti era tra-