Pagina:Notizie del bello, dell'antico, e del curioso della città di Napoli.djvu/114

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ture, o Consul, o Dux. E benchè fossero venuti in Ita-

    vile, come l’intellettuale. Fin dal 1224, quell’Imperadore vi ricompose una grande Università, e perch’ei vietò, s’insognasse in alcun altro luogo da Salerno infuori: fin da que’ dì Napoli divenne capo intellettuale a tutte le province di qua e di là dal Faro. Intanto i posti germi fruttificavano, aiutandosi del primo rilevarsi delle oppresse popolazioni per i favori di Federigo e il freno imposto a’ baroni. Ma la nuova intrusione di stranieri per il conquisto degli Angioini, la novella prevalenza degli ordini privilegiati, il duro governo di Carlo, lo smembramento del regno e le lunghe guerre che di quì seguitarono, offesero la spontanea virtù degl’igegni e alterarono i ben cominciati progressi. Pure l’Italia intera avanzava e rifioriva, onde ancor noi avanzammo, singolarmente appresso alla morte del primo Carlo, sotto il mite governo del figliuolo e poi di Roberto. Certo Napoli di molto è debitrice a que’ re: fatta metropoli al regno e sede a Principi Guelfi, che però erano in assidua comunicazione con gli altri staii d’ltalia e segnatamente co’ più civili, ne acquistò gran dignità e popolazione e ricchezze, e fiorì per molta letteratura sino a tanto che le guerre, il parteggiare e le sciagure infinite del regno dalla uccisione di Andrea fino al re Alfonso, non vennero a conturbar gli studi e a scompigliare ogni cosa. Ogni parte di letteratura fu allora in manifestissimo scadimento, come per molte ragioni fu pure in tutta Italia nella seconda metà del trecento e nella prima del seguente secolo. Ma, dipoi quella età, la venuta de’ Greci, l’uso della stampa, i favori de’ Principi e in generale i civili progressi di tutte le nazioni occidentali, ridestarono gl’ingegni, promossero mirabilmente gli studi e, in apprestando alimento ad altre concezioni di opere, una nuova età prepararono.
       Tutte le discorse cose ci paion bastevoli a dare alcuna generale idea della nostra letteratura de’ mezzi tempi e delle sue vicende principalissime; onde senza più scenderemo a quelle sole distinzioni e peculiarità che l’angustia de’limiti possono consentire.
       Fin dal tempo de’ Re Normanni erasi fatto udire ed era stato scritto in Sicilia il leggiadro volgare che poscia fu la lingua d’Italia. Non fu pulito fra il popolo, che non l’usava, ma nella corte de’ Normanni e, poco appresso, degli Svevi; insomma fu lingua corti-