Pagina:Notizie del bello, dell'antico, e del curioso della città di Napoli.djvu/12

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quando si menano a vedere i nostri Borghi, tutto questo è Città nuova. E la città stessa, avendo da centocinquanta


    alcune compagne secretamente raccolte, giunse a questi lidi, dov’ebbe poi sepolcro. E siffatte cose con tal fidanza cotesti scrittori andarono osservando, da far incidere a basso rilievo, or fa due secoli e mezzo sotto un’antica testa, oggi chiamata Capo di Napoli, la seguente epigrafe: «Parthenopes Eumeli Phalerae Thessaliae regis filiae, Pharetis Creteique regum neptis proneptis quae Eubaea colonia deducta civitati prima fundamenta iecit et dominata est Ordo et Populus Neopolitanus memoriam ab orco vindicovit. MDLXXXXIIII.
       Al presente, per la luce degli etnografici studi, non è chi a queste capricciose e mal fondate opinioni dia credito. Da noi si tiene, che avendo lo stesso Licofrone parlato di Tebe, addomandandola torre di Calidno, e di Roma appellandola torre felice; egli volle intendere per torre di Falero, non la città così nominata da un Falero, ma sì veramente la torre della città chiamata Falero giusta il bizantino Stefano, il quale dice: È Falero una città degli Opici, dove naufragò Partenope la Sirena. Così ad esempio, chi avesse nominato la torre di Miseno, avrebbe potuto significare tanto la torre della città di Miseno, che la torre appartenente a Miseno trombettiere di Enea, da cui per quanto pretendevasi prese nome quel promontorio. Imperciocchè nella storia delle nazioni il talento di magnificare fa che spesso i nomi delle città in uomini si trasfigurino, quelle volendo fondate da raminghi eroi. Faleros poi non altro esprimeva se non un luogo marittimo, un luogo biancheggiante per il frangersi de’ flutti, chiamati da Omero falerioonta quando spumeggiano; come Selinunte e Buxento alla latina, due famose città nostre, non indicavano che il luogo da molti bassi, e il luogo dal molto appio. Al che pensando, saremmo quasi tentati di far valere cotesto Faleros, lo stesso che Cuma, così appellata dall’onde che andavano a frangersi nell’aspro suo lido. Che che sia di queste e di altre congetture, che per amore di brevità si tralasciano, se nissuna notizia più amica della torre di Falero ci fu tramandata intorno alle origini della città che abitiamo, è indispensabile indagar che gente avessela edificata.
       Nel silenzio di tutti gli scrittori, non ci sarebbe disdetto attribuir questo fatto a Pelasgi venuti a quelli Opicii o Ausoni che abi-