Pagina:Novelle lombarde.djvu/103

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Ancora v’ha chi, non logoro dai diletti cittadini a segno da non sentire l’incanto delle semplici bellezze naturali, guadagna le vette, e di là vagheggia il cielo che s’inazzurra sui poggi e sulle valli della Brianza: quel cielo che gli stranieri credono un’esagerazione quando lo vedono dipinto nelle tele dei gran maestri: e che in quell’ora, imporporandosi ai tremuli raggi del sole che declina, fa spiccare all’occhio ammirato le sommità dei colli e dei monti, che formano cornice ad uno dei più graziosi paesaggi; mentre gli augelletti...

Ma che ha qui a fare quest’arcadica descrizione?

Che ha a fare?

Ah! lo sa il mio cuore, che alla sconsolante realtà del presente procura sottrarsi col figurare come sa più al vivo quei luoghi di care memorie ed incolpate. O miei monti, o miei colli! Deh quando il sereno spirare del vostro orezzo pioverà ancora la pace sul mio solingo cammino? Quando l’alba mi troverà sulle vostre vette ad aspettarne il primo biancheggiare? Quando la sera accoglierà il saluto che manderò al patetico astro di Venere? Quando il sole mi vedrà, in gara col capriuolo, libero come l’aria che vi si respira, balzar di pendice in pendice, aspirare l’aroma del cisto e dello spigo selvatico e l’autunnale fragranza delle eriche fiorite; tuffarmi nei torrenti della luce ond’esso v’ammanta; esultare sentendomi al disopra dei tumulti - dell’umanità e più vicino al tempio del Creatore? Quando, quando? — Ah forse mai più!

Perdonate, lettori, se da voi mi son dilungato, come perdonereste al vetturino che vi guida in viaggio, e che s’arrestasse per abbracciare un bam-