Pagina:Novelle lombarde.djvu/134

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E volle togliersi da lei; ma per quanto facesse, non potè impedire ch’ella volesse venire seco a qualunque rischio. Caricatosi d’arme, oltre il pugnale che gl’Italiani d’allora mai non abbandonavano, salse una mula, e colla fanciulla in groppa, si mise pel sentiero montano. Non ve lo descriverò: che voi conoscete i monti, e potete figurarvi qual era, in tal ora, in tal luogo, con quel tempo. Solo una bestia docile ed esercitata come quella poteva continuare su così angusto calle in pendio, fra il barbaglio de’ lampi; solo amore poteva fare così arditi quei due, amore che non conta i pericoli. Fatti vicini al bosco e scavalcati, il cavaliero e l’Estella cominciano a discendere verso la capanna ove dorme il padre — dorme forse per l’ultima volta. Più s’avvicinano, più batte il loro cuore. — Saranno in tempo? Ecco al fine il tugurio. Tremante, l’Estella s’avanza, vi si precipita — è vuoto! Intanto, come i lampi rompevano la tenebria, vedovasi in mezzo al lago una gondola lottare coi flutti.

Era veramente la gondola d’Isotta. O miei buoni ascoltatori, nessuno di voi conobbe l’atroce gaudio della vendetta: nessuno sa come sia tempestoso il tempo che volge tra la deliberazione d’un delitto e il compimento di esso: onde farete le meraviglie come ella stessa, fra tanta burrasca, si avventurasse all’onde. Ma una burrasca tale volgevale sossopra l’animo, che fino il pericolo, fin la morte le pareva un nulla, per togliersi un istante a quella, per anticiparsi d’un’ora l’insana ebbrezza della vendetta. Scelti dunque i più sperimentati battelieri, quelli che tante volte, a ritroso del vento, aveano guidato alle sorprese il Medeghino, erasi diretta alla capanna del vecchio per rapirlo, ostaggio d’un tremendo dolore.