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Pagina:Novelle lombarde.djvu/195

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mandava: — Menica, cos’hai? i ed io rispondeva: — Niente, oh niente: e per non farmi scorgere, mostravo allegria. Ma la mia vicina, che era delle fine, mi diceva: — Menica, voi siete innamorata». lo diventava rossa, e protestava di no: e perchè mi pareva che tutti dovessero così indovinarlo, sfuggivo la compagnia, non ero a giocar colle compagne non a veglia nella stalla.

Deh se m’è parsa eterna quell’invernata. Prima d’allora io non aveva mai osservato che l’aria fosse così trista, così squallida la campagna in inferno, così fosco il cielo, così frizzante il vento, così nebbiosi i giorni, così interminabili le notti. Quando Dio volle, arrivò il tempo nuovo; ma con quello rinaquero più vive le immagini, più calde le speranze. Tutto mi faceva ricordare come i giorni stessi erano diversamente passati l’anno precedente: ogni prato che verdeggiasse d’erbe novelle mi richiamava quello su cui avevo una volta veduto Mommolo; le primolette che trovai, non mi son curata di raccoglierle, non avendo a chi presentarle. Su quel sasso dov’egli, salendo tante volte, m’aveva additato il suo paesello, anch’io saliva, e guardava, e pensava, e piangeva. Poi facevo còmputi tra me e me: — Ecco, oggi egli parte da casa sua; domani sarà a Bergamo, doman l’altro a Caprino, e fra tre giorni qui». I tre giorni passavano, egli non veniva, ed io mi rifaceva da capo, e ancora invano. Quante volte, guardando in giù con il palpito, io credeva veder alcuno. — Erano piante: eppure era un uomo sì, ma non così grande come lui, non del suo bel portamento, non di quel passo disinvolto e risoluto: non collo schioppo alla spalla.