Pagina:Novelle lombarde.djvu/21

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— Sì sì» esclamava Cipriano; «ogni ladrone ha la sua devozione. Ma come egli sia buono, addomandarlo al mugnajo di Santa Maria Hoe il quale, perchè aveva la donna bella ma anche savia, fu conciato che Dio vel dica. Addomandarlo a Mariantonia del filatojo, che era una ragazza chetina come l’olio, ed ora sapete anche voi quel che n’è. Addomandarlo a Carlandrea del Gobbo, che, per non avergli voluto cedere il suo camperello, n’ebbe prima tante bastonate quante può portarne un somaro, poi a rinforzo d’angherie è ridotto miserabile come Giobbe. E neppur un mese fa Lionardo di Rosina avendo, nel passare, spaurato un merlo che stava per dare nel calappio, il guardacaccia non lo fece ruzzolar giù pei ronchi come una pallottola, gridandogli dietro, spero che non tornerai più su? Oh quel guardacaccia! Il Signore ne scampi i cani. L’altro dì....»

Chi sa fin quando Cipriano toccava innanzi, sciorinando questa litania delle insolenze che, come più recenti, gli correvano prime alla lingua, e che possono essere un’altra dimostrazione del quanto sia grande la pazienza di chi soffre. Ma gli ruppe le parole in bocca, sua madre tutta scandolezzata, dicendo: — Ma sicchè? ma sicchè? Dov’hai tu la coscienza a parlar così senza rispetto dei padroni? Bada che Domenedio ti castigherà. Non è vero che egli ha fatto gli uomini parte per comandare, parte per obbedire? Bene; i potenti si chiamano così perchè hanno avuto da lui la potenza di comandare, e il nostro dovere è di fare la loro volontà senza cercar più che tanto. Che capo sei tu! vorres’tu disfare quel che ha fatto il Signore?»