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Pagina:Novelle lombarde.djvu/22

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— Tua madre non ha torto», soggiungeva il padre. «Non l’hai inteso delle cento volte che il destino di noi straccioni è mangiar pane e guai? e il diritto di quei che comandano è far quello che possono?»

Le idee di diritto e di dovere non doveano essersi ben identificate nel capo di Cipriano: compatitelo, avea poca barba ancora al mento. Laonde crollava il capo a guisa di chi si conosce rimproverato piuttosto dalla prudenza che dalla coscenza poi dopo alquanto saltava su: — Però, se fosse toccato a me a dar regola al mondo, indovinate mo cosa avrei voluto? Che quelli che lavorano stessero bene e di sopra degli altri; e gli oziosi facessero crocette. Ah! ah!»

E sbellicavasi dalle risa all’averne detto una così strampalata. Il padre rideva anch’esso, esclamando — Si può sentire di peggio?» Persino la madre serenavasi alquanto, poi, ripresa la sua devota ipocondria, continuava; — Che discorsi senza sugo! Se tu avessi un poco di timor di Dio, avresti anche il timor degli uomini, ti cuciresti la bocca, e certe cose non le diresti manco per baja. Ma già fin da ragazzo eri un capetto, con certe idee per la testa, che sicuro non le avevi imparate da me: e non ti pareva giusto nemmeno quando, a scuola o alla dottrina, ti picchiavano. Ora però sei all’età della discrezione, e dovresti aver acquistato un poco di viver del mondo, e sapere che i padroni, come le streghe, è meglio non nominarli nè in bene nè in male. Se tu facessi così, non avresti avuto paura adesso adesso quando capitò qui il Signore: per-