Pagina:Novelle lombarde.djvu/260

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tro, fin quando i nobili ne fabbricarono uno, detto il Teatrino, all’estremità del palazzo di Corte, per festeggiare l’ilarità (diceva l’epigrafe latina) che rinasceva sotto un ottimo principe. Cito questo teatro, primieramente perchè quel nome si conserva tuttora a quel che fu poi eretto al suo posto; e perchè vi si adottò l’uso dei palchetti, veduto primieramente nel San Giovanni Grisostomo di Venezia; uso che poi divenne comune in Italia, per quanto ne strillasse il Milizia.

Andato esso teatro, nel 1776, a quella fine cui tutti sembrano destinati, cioè l’incendio, si pensò erigere il magnifico della Scala, e quello della Canobbiana, che si apersero nel 79 e nell’80. Dapprima non si teneano aperti che a vicenda; anzi era espresso obbligo che, quando in uno si rappresentasse, verun altro spettacolo potesse darsi, per non defraudare la concorrenza a quelli.

Questo mostra che scarsa era l’affluenza: ora invece sono aperti entrambi quasi tutto l’anno; o, a più propriamente parlare, nel carnevale, che va dal giorno di santo Stefano sino al 20 marzo, devono darsi alla Scala un’opera seria, scritta a bella posta, e delle altre opere una esser nuova per queste scene; de’ due balli grandi averne almeno uno affatto nuovo, oltre due altri comici o di mezzo carattere. Nella stagione di primavera, che va dalla seconda festa di pasqua a tutto giugno, l’impresa non è obbligata che a dar rappresentazioni drammatiche con un ballo di mezzo carattere in qual sia dei due teatri. Nella stagione autunnale, che corre da settembre a tutto novembre, devono esservi almanco tre opere con due balli. Allorchè la