Pagina:Novelle lombarde.djvu/27

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armonia; tornò il diritto della forza, e ciascun potente mascherandosi col nome d’una fazione, e così dichiarando guerra e sostenendola a visiera alzata, esercitava gli odj e le vendette private. Qualche volta al castello d’un barone presentavasi un araldo, ed affiggeva alla porta un cartello che diceva: — Io tale de’ tali, da oggi innanzi sarò tuo nemico a morte, e nocerò il più che mi sarà possibile a te, ai sudditi, agli attenenti tuoi, nella persona e nell’avere». Talvolta chi riceveva tali disfide o chi le mandava era una corporazione, una comunità: e da quel punto credevasi legittimata qualunque scelleratezza, come in guerra rotta.

Gli Isacchi stavano coi Francesi, mentre i Sirtori favorivano gli Imperiali, e più volte si erano recati gravi danni, od almeno ne avevano recato agli innocenti terrieri, che, destino antico, scontavano coi proprj guai i delirj de’ padroni. Ma quelli di Barzago, fiancheggiati da una più grossa fazione, prevalevano nelle parti di Brianza; e don Giberto, avo che fu del feudatario presente, a capo di forte banda teneva in soggezione gli avversarj e in danno e sgomento tutti.

Però alla fine gli Spagnuoli prevalsero: il paese fu sgombro da’ Francesi, e i loro fautori rimasero sbattuti, quanto rizzarono il capo gli altri. A governo della Lombardia fu destinato il duca d’Alba, severo, inflessibile, che, senza guardar più in fronte a nobili che a plebei, faceva pagare col sangue ogni violazione degli ordini suoi. E che tale dovesse riuscire lo mostrò da’ bei primi giorni del suo reggimento, quando, non avendogli un gentiluomo milanese fatto di berretta mentre cavalcava per la