Pagina:Novelle lombarde.djvu/287

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— Adagio, adagio», salta la Teresa, «Io so che le vostre madri avevano più giudizio di voi, farfarelle; e, non fo per dire, ma si era belle tanto e più che voi. Eppure si sposava quello che i parenti proponevano, delle volte senza nemmanco avergli parlato; si facevano le cose come andavano fatte; e non si cercava alla fine che di adempire le intenzioni di santa madre Chiesa.

— Non c’era tanta premura d’andar a marito» aggiungeva una pulzellona di cinquant’anni. «Ma ora voi altre non avete appena i venti, e già vi puzza il fiato, e parlate d’amore, frasche!

— Tempo passato perchè non ritorni, eh?» ripiglia la giovane «sempre fu sole e nugolo, grano e loglio. Però, dico io, noi del male ne farciamo noi?

— Questo non si può dire», piglia la parola comar Giuditta. «Ma in tali faccende non si va mai cauti che basti, perchè il primo scapuccio, Dio sa dove porta. L’è giusto appunto come quando i puttini scivolano sul ghiaccio: presa una volta l’andata vatti accatta dove si fermeranno. Ve l’ho ben raccontata, eh, la storia dell’Agnese?

— No, no», replicano le giovani per una bocca «Contatela, comare: contate la storiella»; e così al fosco, colle mani sotto al grembiule, se le stringono più da presso per ascoltarla. Essa comincia: - Era l’Agnese una fanciulla, bella come una immagine, tenera come latte spremuto, ma anche dabbene, che, chiedete e domandate, neppur le vicine poteano dirne altro che lodi. Le era morta sua mamma mentre era ancora d’otto o nov’anni, ed essa appena cresciuta un poco, tirava innanzi la casa e