Pagina:Novelle lombarde.djvu/300

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chiò; e qui, botta e risposta, se ne dissero fino ai denti, e la donna si lasciò scappare di bocca che la dovesse badare a quel che diceva, perchè in fine de’ fini stava da lei il mandarla col muso alla ferrata.

Non l’avesse mai detto! L’Agnese, se prima andava a spasso col cervello, allora, vi diede volta affatto. Quella notte la passò come sulle ortiche. Quando, spossata dal piangere, si addormentò, che sogni? Che paure! Cani rabbiosi che le saltavano adosso, un toro che la inseguiva perchè era tutta rossa di sangue: le pareva di scappare in camera, serrarsi dentro; ma ecco le finestre sbatacchiare benchè chiuse, e pel buco della toppa entrare un fantasma, e succiarle il sangue di sotto le ugne dei piedi: essa lo affissava, e quello andava tutto a fuoco e a fiamme, sporgeva gli occhi dalla livida faccia, come gli aveva veduti a Sandro in quella sera funesta, e le diceva: — Son dannato in grazia tua». Essa faceva per gridare, e non poteva, perchè sentivasi strozzare: toccavasi al collo, era il capestro che le aveva messo il boja. Stralunava gli occhi intorno: ecco lì tutta la gente del suo paese, tutte le sue camerate a vederla impiccare; ed una fra queste sporgersi su, e beffarda ghignarle in faccia: — era la Bia.

Balzò dal letto atterrita, trambasciata: tutto quel giorno un’orribile convulsione l’agitò; acciocchita dava del capo per tutti i muri: le pareva di avere il fuoco nella testa, e s’appoggiava agli stipiti del camino, ai ferri, per sentire un momento di refrigerio: si buttava su quella cassapanca, e non piangeva più. Uscì col secchio per andare attingere, poi quando fu fuori, non si ricordò più: e va e va....