Pagina:Novelle lombarde.djvu/330

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gettandogli le braccia al collo, — Bravo Peppo mio: hai fatto bene a lasciar quel brutto mestiere, che fa perdere il timor di Dio e l’amore della casa. Entra, siedi: torna al pentolino: questa è sempre casa tua; ci starai al bene e al male».

Peppo non se lo fece dir due volte, e si ribadì sotto al tetto del fratello. Ma sempre con quell’osso nella schiena, e non volendo far calli alle mani, mangiava sopra le spalle di questo, che non glien’avrebbe mai dimostrato il piccolo rancore; del rimanente stava sull’amorosa vita e sul fare buona cera e buon fianco; egli sempre assettatuzzo, egli dietro a tutte le festicciuole, egli a spesucchiare sui mercati; di giorno, fuori col fucile a caccia; di sera con un mandolino, che toccava così che lo faceva parlare, or sotto un balcone, or sotto una finestra, a pigliarsi tempone.

Nelle sue corse legò conoscenza co’ figliuoli del suo antico padrone, bravi signori che non gettavano il tempo a far nulla, ma lo occupavano da mattina a sera nella caccia, e che a Peppo posero un bene da non dire, perch’egli era, non si può dire altrimenti, una buona pastaccia, stava a tutto, e faceva tiri da stordire l’aria. Cominciarono a rimpanucciarlo, e il facevano desinar col fattore: andavano in città? vi doveva essere anche lui; e così ringarzullito e sgragiante, trionfalmente egli esercitava la sua gioventù, e prendeva usata con signori da molto più di lui.

Non vi farà dunque meraviglia se riuscì ad innamorare di sè una giovine di molto sboccio, non il fior delle belle no, ma dotata delle più solide allettative matrimoniali, essendo ereditiera. Proba-