Pagina:Novellette e racconti.djvu/152

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142 novella lxxvi.

novello corpo. Appresso io vidi apparire sopra il terreno, e non so come, delineata ogni qualità di vita, tanto che ognuno potea vedere ed esaminare prima quella ch’egli avesse voluta eleggere, per non dir poi: Io non ebbi campo a pensarvi. Il primo numero era tocco ad un poeta, il quale ricordandosi tutti gli stenti della passata vita, e sapendo i lunghi e molesti pensieri ch’egli avea avuti, stabilì di fuggire la carestia; e fisato l’occhio sopra il disegno d’una cicala, disse ad alta voce: Da qui in poi m’eleggo d’essere cicala per vivere della rugiada del cielo. Così detto, divenne piccino, gli s’appiccarono addosso l’ale, e se n’andò a’ fatti suoi, e la donna dalle fusa incominciò a filare la vita d’una cicala. Il secondo fu uno staffiere, il quale avea servito nel mondo ad una civettina lungo tempo, e ricordandosi le commessioni ch’egli avea avute, le polizze, le ambasciate, il continuo correre su e giù per sarti, calzolai, per acque, per medici, per cerusici, tanto ch’egli non potea avere il fiato, domandò d’essere scambiato in un olmo; e così fu, e s’aggirò un altro fuso per l’olmo. Venne poscia una donna, ch’io avea già conosciuta al mondo per la più bella e aggraziata ch’io avessi veduta mai, la quale non avrebbe certamente potuto scambiare il corpo suo in altro migliore. Costei posto l’occhio in sui disegni delle vite, domandò che la sua tramutazione fosse in una donna brutta; e venendone compassione alla femmina del fuso, la gli chiese il perchè, ed ella rispose: Nella mia prima vita io non ho mai potuto avere un bene. Quella mia bellezza invitava a sè un nuvolo d’ogni qualità, tanto ch’io era assediata continuamente alle calcagna. Non vi potrei dire quanta fu la mia sofferenza nel comportare goffi che voleano appresso di me fare sfoggio d’ingegno; uomini tristi che, non potendo colorire il loro disegno, m’attaccavano qua e colà con la maldicenza; io non ebbi in vita mia ad udire altro che sospiri e disperazioni, a veder lagrime; fui attorniata da quistioni, e, quel che mi parea peggio d’ogni altra cosa, da