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novella lxxx. | 159 |
tona, spiacevole in ogni sua cosa, e di sì mal umore in tutto quello che dicea o facea, che non vi avea nè fantesca nè servo che non fosse disperato; e, per giunta, alle villanie che diceva loro grossolane e goffe, menava anche spesso le mani, e con ceffate e pugna gli percuoteva o lanciava loro nella faccia, secondo che si abbatteva, ora un piattello, e talvolta una tazza o altro; non pensando punto che la vera gentilezza non istà nella nascita o nelle ricchezze, e volendo mostrare la sua signoria nel tenere i servi suoi a guisa di schiavi. Comechè Giovanni spesso ne la rimproverasse, e cercasse con buoni e soavi modi di farnela del suo errore avveduta, era quel medesimo sempre come s’egli avesse taciuto. Anzi alle volte gli si volgeva incontro con un ceffo di cane, e con le mani in sui fianchi gli ricordava la buona dote che arrecata gli avea, e domandavagli s’egli intendea di farla stare soggetta ad un branco di bestie e ad una ciurmaglia; e che egli era uno scempio, un gocciolone che si lasciava menar pel naso da tutti; e ch’ella intendea di far che le faccende andassero a suo modo e bene. Il pover’uomo stringevasi nelle spalle, pregava i domestici suoi che avessero pazienza, mostrando quanta ne avesse egli stesso; e per non impazzare affatto, usciva spesso di casa, e passava le ore con gli amici suoi, maledicendo il punto in cui si avea posta quella vipera in seno.
Avvenne un giorno fra gli altri, ch’essendo ella andata ad una sua villetta poco lontana dalla città in compagnia del marito, i servi suoi rimasi in città vollero darsi un poco di buon tempo, e acconcia un’insalata, e presa non so qual cervogia, si diedero a fare una colezione, alla quale aveano per avventura invitato un certo calzolajo nominato Taddeo, delle cui qualità è necessario ch’io favelli per intelligenza dell’istoria. Era costui uomo di lietissimo umore, e quando egli avea bevuto un pochetto, cantava saporitamente alcune canzonette, che alla brigata, con la quale si ritrovava, davano non pic-