ciolo diletto; e perciò era da tutte le genti volentieri veduto. Egli è vero però, ch’essendo piacevole con ognuno, non riusciva tanto gentile alla Geva sua moglie, ch’era una bella giovane e di sì buona pasta, che non sapea fare nè più qua nè più là di quanto le comandava Taddeo. E con tutto ciò egli spesso ne la rimbrottava, e le dava delle busse, per modo che la mala arrivata Geva faceva seco una trista vita. Tant’è, comechè si fosse, Taddeo trionfava allora alla mensa co’ servi di Giovanni, e aveano invitato un cieco il quale suonava molto bene una sua viola, onde dopo cantate a coro molte canzoni e terminato il mangiare, faceano un ballo tondo con una festa e un’allegrezza che sarebbe stata una consolazione a vederli. Ma, o fosse che non prendessero bene la misura del tempo, o che la padrona giungesse prima dell’ora che assegnata avea, la gli colse in sul fatto, e poco mancò che non gli ammazzasse quanti erano, sì la prese la furia; perchè dopo di aver detto a tutti una gran villania, e dato a chi una ceffata e a chi un pugno, secondo l’usanza sua, la corse dietro a Taddeo, e spezzò sul capo al cieco la viola, facendo un fracasso che parea che volesse inabissare il mondo. Il marito, dopo di avere usate tutte quelle buone ammonizioni che sapea, vedendo che non facevano frutto, deliberò in suo cuore di rimandarnela a casa nel vegnente giorno, e di torsi quella tigre da’ fianchi. Mentre ch’egli stava in questo pensiero, mulinando fra sè la sua risoluzione, era già la notte venuta oscura, e pioveggiava, quando si presentò a Giovanni e alla moglie un cert’uomo che solea abitare di là non molto lontano, stimato da tutte le genti per la sua dottrina, come colui che pizzicava dell’indovino, e presagiva molto bene negli almanacchi quanto dovea avvenire; ma quello che niuno sapea, egli era anche stregone, e sapea fare molte maraviglie coll’arte sua, comechè di rado se ne valesse, e solo per far qualche giovamento agli amici suoi, e talora anche più per ischerzo, che per altro. Giunto adunque costui