Pagina:Obras poeticas de Claudio Manoel da Costa (Glauceste Saturnio) - Tomo I.djvu/163

Da Wikisource.

XCIII

 
     Dolci parole, or piú non siete quelle:
Nice, a cui piacqui un giorno, or me deride;
E le pupille sue, un tempo fide,
4Or sono a danni miei barbare stelle.
 
     Piú costante, che incontro alle procelle
Scoglio, che urtano i venti, e le onde infide,
Quanto piú col rigor crudel m’uccide,
8Tanto ardo piú per le sue luci belle.
 
     Quell’ira sua, cred’io, dell’amor mio
Alimento é tal volta, e dell’imparo,
11Per strugermi a suoi rai, nov’arti anch’io.
 
     Pur non veggo ’l Destin, con mé si avaro,
Se del suo sdegno a stimol cosi rio
14Sento l’incendio, Amor, esser piú chiaro.


XCIV

 
     Non lasciarmi, crudel; quella, ch’io réndo,
Victima voluntaria dal mio cuore
E ben degna di te, se pur l’amore,
4Se pur il premio tuo non ti contendo.
 
     Io senza speme alla tua luce attendo,
Come Clicie tallor: se del maggiore
Pianeta ogn’un’adora lo splendore,
8Senza ch’il raggio l’urte, ’l va sieguendo.
 
     Ma tu fuggi, crudel! Ah! non son io
Inteso a divorarti, ó mostro, ó fiera;
11Placarti voglio con il pianto mio.
 
     Se pur muoverti ancor l’alma non spera,
Questo, barbara, (oime!) questo desio
14Pera, ma innanzi a tuoi bell’ochi pera.