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ODE OLIMPIA I 63




Antistrofe

te sovra l’auree cavalle rapí, vinto il seno d’amore,
ché primo ascendessi di Giove alla reggia,
là dove piú tardi
salí Ganimede,
anch’esso coppiere dei Numi.
Or, come nessun piú ti scorse,
nessuno, per quanto cercasse, t’addusse a tua madre,
di furto, qualcuno degli invidi
vicini, narrò che reciso te in brani col ferro,
nel fiore dell’acqua bogliente
sul fuoco, divise e ingollate
avevano a mensa tue carni.


Epodo

Non io dir cannibale un Nume saprei: da me lunge il pensiero!
Chi lingua ha maledica, lo coglie sciagura.
Se mai de l’Olimpo i Signori pregiarono alcun dei mortali,
fu Tàntalo quello: anzi, furono soverchi i suoi beni:
sí ch’ei non li resse. La sua tracotanza
su lui trasse l’orrida pena: ché Giove gli appese
sul capo un immane macigno:
ond’ei, paventando che sopra gli cada, bandito è da pace.

III


Strofe

Tale è la grama sua vita perenne: tormento che segue
a un triplice cruccio, perch’egli, rapita
l’ambrosia ed il nettare