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Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/143

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128 odissea

Giorni ozïosi, e travagliosi mena;
E del tornare alla sua patria è nulla,20
Poichè navi non ha, non ha compagni,
Che il carreggin del mar su l’ampio tergo.
Che più? Il figliuol, che all’arenosa Pilo
Mosse, ed a Sparta, onde saver di lui,
Tor di vita si brama al suo ritorno.25
     Figlia, qual ti sentii fuggir parola
Dal recinto de’ denti? a lei rispose
L’adunator di nubi Olimpio Giove.
Tu stessa in te non divisavi, come
Rieda Ulisse alla patria, e di que’ tristi30
Vendetta faccia? In Itaca il figliuolo
Per opra tua, chi tel contende? salvo
Rientri, e l’onde navigate indarno
Rinavighi de’ Proci il reo naviglio.
     Disse, e a Mercurio, sua diletta prole,35
Così si rivolgea: Mercurio, antico
De’ miei comandi apportator fedele,
Vanne, alla Ninfa dalle crespe chiome
Il fermo annunzia mio voler, che Ulisse
Le native contrade omai rivegga.40
Ma nol guidi uom, nè Dio. Parta su travi
Con multiplici nodi in un congiunte,
E il ventesimo dì della feconda