Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/183

Da Wikisource.
168 odissea

Vestito, ch’ebbe da Nausíca in dono,
Lui Minerva, la prole alma di Giove,320
Maggior d’aspetto, e più ricolmo in faccia
Rese, e più fresco, e de’ capei lucenti,
Che di giacinto a fior parean sembianti,
Su gli omeri cader gli feo le anella.
E qual se dotto mastro, a cui dell’arte325
Nulla celaro Pallade, e Vulcano,
Sparge all’argento il liquid’oro intorno
Sì, che all’ultimo suo giunge con l’opra:
Tale ad Ulisse l’Atenéa Minerva
Gli omeri, e il capo di decoro asperse,330
Ad Ulisse, che poscia, ito in disparte,
Su la riva sedea del mar canuto,
Di grazia irradïato, e di beltade.
     La donzella stordiva; ed all’ancelle
Dal crin ricciuto disse: Un mio pensiero335
Nascondervi io non posso. Avversi il giorno,
Che le nostre afferrò sponde beate,
Non erano a costui tutti del cielo
Gli abitatori: egli d’uom vile e abbietto
Vista m’avea da prima, ed or simíle340
Sembrami a un Dio, che su l’Olimpo siede.
Oh colui fosse tal, che i Numi a sposo
Mi destinaro! Ed oh piacesse a lui