Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/292

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libro decimo 277

Ma Euriloco, i ginocchi ad ambe mani
Stringendomi, e piangendo, Ah! mal mio grado,345
Con supplici gridò parole alate,
Là non guidarmi, o del gran Giove alunno,
Donde, non che altri ricondur, tu stesso
Ritornar non potrai. Fuggiam, fuggiamo
Senza indugio con questi, e la vicina350
Parca schiviam, finchè schivarla è dato.
     Euriloco, io risposi, e tu rimanti,
Di carne, e vino a riempirti il ventre,
Lungo la nave. Io, cui severa stringe
Necessitate, andrò. Ciò detto, a tergo355
La nave negra io mi lasciava, e il mare.
     Già per le sacre solitarie valli
Della Maga possente all’alta casa
Presso io mi fea, quando Mercurio, il Nume,
Che arma dell’aureo caducéo la destra,360
In forma di garzone, a cui fiorisce
Di lanuggine molle il mento appena,
Mi venne incontro, e per la man mi prese,
E, Misero! diss’ei con voce amica,
Perchè ignaro de’ lochi, e tutto solo,365
Muovi così per queste balze a caso?
Sono in poter di Circe i tuoi compagni,
E li chiudon, quai verri, anguste stalle.