Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/387

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6 odissea

Di cui male potremmo al grave peso
Regger noi soli, la città concorra.20
     Disse; e piacquero i detti, e al proprio albergo
Ciascun, le piume a ritrovar, si volse.
Ma come del mattin la bella figlia
Aperse il ciel con le rosate dita,
Ver la nave affrettavansi, portando25
Il bel, che onora l’uom, bronzo foggiato.
Lo stesso Re, ch’entrò per questo in nave,
Attentamente sotto i banchi il mise,
Onde, mentre daran de’ remi in acqua,
Non impedisse alcun de’ Feacesi30
Giovani, e l’offendesse urna, o treppiede.
Nè di condursi al real tetto, dove
La mensa gli attendea, tardaro i Proci.
     Per lor d’Alcinoo la sacrata possa
Un bue quel giorno uccise al ghirlandato35
D’atre nubi Signor dell’Universo.
Arse le pingui cosce, un prandio lauto
Celebran lietamente; e il venerato
Dalla gente Demodoco, il divino
Cantor, percuote la sonante cetra.40
Ma Ulisse il capo alla diurna lampa
Spesso torcea, se tramontasse al fine:
Chè il ritorno nel cor sempre gli stava.