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Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/390

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libro decimoterzo 9

Vi montò egli, e tacito corcossi.
E qui sedean su i banchi, e, poichè sciolta95
Dal traforato sasso ebber la fune,
Fatigavan co’ remi il mar canuto.
Ma un dolce sonno al Laerziade, un sonno
Profondo, ineccitabile, e alla morte
Per poco egual, su le palpebre scese.100
Come talvolta in polveroso campo
Quattro maschi destrieri a un cocchio aggiunti,
E tutti dal flagel percossi a un tempo,
Sembran levarsi nel vôto aere in alto,
E la prescritta via compier volando:105
Sì la nave correa con alta poppa,
Dietro da cui precipitava il grosso
Del risonante mar flutto cilestro.
Correa sicura, nè l’avria sparviere,
Degli augei velocissimo, raggiunta,110
Con sì celere prora i salsi flutti
Solcava, un uom seco recando ai Dii
Pari di senno, che infiniti affanni
Durati avea tra l’armi, avea tra l’onde,
E allor, d’obblio sparsa ogni cura, in braccio115
D’un sonno placidissimo giacea.
Quando comparve quel sì fulgid’ astro,
Che della rosea Aurora è messaggiero,