Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/426

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libro decimoquarto 45

Colli d’Itaca sua dopo sì lunga
Stagion dovea palesemente, o ignoto.395
Poi, libando, giurò, ch’era nel mare
Tratta la nave, e i remiganti pronti,
Per rimenarlo in Itaca. Ma prima
Me stesso accommiatò: chè per ventura
Al ferace Dulichio un legno andava400
Di nocchieri Tesproti. Al Rege Acasto
Costor dovean raccomandarmi, e in vece
Un consiglio tessean, perch’io cadessi
Nuovamente ne’ guai. Come lontano
Da terra fu l’ondivagante legno,405
Il negro m’apparì giorno servile.
Tunica, e manto mi spogliaro, e questi
In dosso mi gettâr laceri panni,
E, venuti all’amena Itaca a notte,
Me nella nave con ben torta, e salda410
Fune legaro. Indi n’usciro, e cena
Frettolosa del mar presero in riva.
Ma un Nume ruppe i miei legami; ed io
Giù sdrucciolai pel timon liscio, al mare
Mi consegnai col petto, e ad ambe mani415
Notando remigai sì, che in brev’ora
Fuori di lor vista io fui. Giunsi, ove bella
Sorgea di querce una foresta, e giacqui.