Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/482

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libro decimosesto 101

     Mentre si fean da lor queste parole,
La nave, che Telemaco, e i compagni345
Condotti avea da Pilo, alla cittade
Giunse, e nel porto entrò. Tiraro in secco
Gli abili servi, e disarmaro il legno,
E di Clito alla casa i prezïosi
Doni recaro dell’Atride. In oltre350
Mosse un araldo alla magion d’Ulisse
Nunzïando a Penelope, che il figlio
Ne’ campi suoi si trattenea, perch’ella,
Visto entrar senza lui nel porto il legno,
Di nuovo pianto non bagnasse il volto.355
L’araldo, ed il pastor dier l’un nell’altro
Con la stessa imbasciata entro i lor petti.
Nè pria varcàr della magion la soglia,
Che il banditor gridò tra le fantesche:
Reina, è giunto il tuo diletto figlio.360
Ma il pastore a lei sola, e all’orecchio,
Ciò tutto espose, che versato in core
Telemaco gli avea: quindi alle mandre
Ritornare affrettavasi, l’eccelse
Case lasciando, e gli steccati a tergo.365
     Ma tristezza, e dolor l’animo invase
De’ Proci. Usciro del palagio, il vasto
Cortile attraversaro, ed alle porte