Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/492

Da Wikisource.

111

LIBRO DECIMOSETTIMO.




     Tosto che aperse del mattin la figlia
Con rosea man l’eteree porte al Sole,
Telemaco, d’Ulisse il caro germe,
Che inurbarsi volea, sotto le piante
S’avvinse i bei calzari, e la nodosa5
Lancia, che in man ben gli s’attava, tolse,
E queste al suo pastor drizzò parole:
Babbo, a cittade io vo, perchè la madre
Veggami, e cessi il doloroso pianto,
Che altramente cessar, credo, non puote.10
Tu l’infelice forestier la vita
Guidavi a mendicar: d’un pan, d’un colmo
Nappo non mancherà chi lo consoli.
Nello stato, in ch’io sono, a me non lice
Sostener tutti. Monteranne in ira?15
Non farà, che il suo male. Io dal mio lato
Parlerò sempre con diletto il vero.
     Amico, disse allora il saggio Ulisse,