Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/506

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libro decimosettimo 125

Tra l’armi, e in mar danni sofferti, a cui
Questo s’aggiungerà. Tanto comanda345
La forza invitta dell’ingordo ventre,
Per cui cotante l’uom dura fatiche,
E navi arma talor, che guerra altrui
Dell’infecondo mar portan su i campi.
     Così dicean tra lor, quando Argo, il cane,350
Ch’ivi giacea, del pazïente Ulisse,
La testa, ed ambo sollevò gli orecchi.
Nutrillo un giorno di sua man l’eroe,
Ma corne, spinto dal suo fato a Troja,
Poco frutto potè. Bensì condurlo355
Contra i lepri, ed i cervi, e le silvestri
Capre solea la gioventù robusta.
Negletto allor giacea nel molto fimo
Di muli, e buoi sparso alle porte innanzi,
Finchè, i poderi a fecondar d’Ulisse,360
Nel togliessero i servi. Ivi il buon cane,
Di turpi zecche pien, corcato stava.
Com’egli vide il suo signor più presso,
E, benchè tra que’ cenci, il riconobbe,
Squassò la coda festeggiando, ed ambe365
Le orecchie, che drizzate avea da prima,
Cader lasciò: ma incontro al suo signore
Muover, siccome un dì, gli fu disdetto.