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126 odissea

Ulisse, riguardatolo, s’asterse
Con man furtiva dalla guancia il pianto,370
Celandosi da Euméo, cui disse tosto:
Euméo, quale stupor! Nel fimo giace
Cotesto, che a me par cane sì bello.
Ma non so, se del pari ei fu veloce,
O nulla valse, come quei da mensa,375
Cui nutron per bellezza i lor padroni.
     E tu così gli rispondesti, Euméo:
Del mio Re lungi morto è questo il cane.
Se tal fosse di corpo, e d’atti, quale
Lasciollo, a Troja veleggiando, Ulisse,380
Sì veloce a vederlo, e sì gagliardo,
Gran maraviglia ne trarresti: fiera
Non adocchiava, che del folto bosco
Gli fuggisse nel fondo, e la cui traccia
Perdesse mai. Or l’infortunio ei sente.385
Perì d’Itaca lunge il suo padrone,
Nè più curan di lui le pigre ancelle:
Chè pochi dì stanno in cervello i servi,
Quando il padrone lor più non impera.
L’onniveggente di Saturno figlio390
Mezza toglie ad un uom la sua virtude,
Come sopra gli giunga il dì servile.
Ciò detto, il piè nel sontuoso albergo