Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/586

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libro vigesimo 205

Fermò di botto, e feo volar tai voci,
Che segnale al Re furo: O padre Giove,145
Degli uomini signore e degli Dei,
Forte tonasti dall’eterea volta,
E non v’ha nube. Tal portento è al certo
Per alcun de’ mortali. Ah! le preghiere
Anco di me infelice adempj, o padre.150
Cessi quest’oggi nella bella sala
Il disonesto pasteggiar de’ Proci,
Che di fatica m’hanno, e di tristezza
Presso un grave macigno omai consunta.
L’ultimo sia de’ lor banchetti questo.155
     Della voce allegravasi, e del tuono
L’illustre figlio di Laerte, e l’alta
Già in pugno si tenea giusta vendetta.
     L’altre fantesche raccoglieansi intanto,
E un foco raccendean vivo, e perenne.160
Ma il deiforme Telemaco di letto
Surse, vestì le giovanili membra,
L’acuto brando all’omero sospese,
Legò sotto i piè molli i bei calzari,
E una valida strinse asta nodosa165
Con fino rame luminoso in punta.
Giunto alla soglia, s’arrestò col piede,
E ad Euricléa parlò: Cara nutrice,