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236 odissea

Ti manderem su rapido naviglio.
Chetati adunque, ed il pensiero impronto370
Di contender co’ giovani ti spoglia.
     Qui Penelope disse: Antinoo, quali
Di Telemaco mio gli ospiti sieno,
Turpe, ed ingiusto è il tempestarli tanto.
Pensi tu forse, che ove lo straniero,375
Fidandosi di sè, l’arco tendesse,
Me quinci condurria moglie al suo tetto?
Nè lo spera egli, nè turbato a mensa
Dee per questo sedere alcun di voi.
Cosa io veder non so, che men s’addica.380
     Ed Eurimaco a lei: D’Icario figlia,
Non v’ha fra noi, cui nella mente cada,
Che te pigli a consorte uom, che sì poco
Degno è di te. Ma degli Achei le lingue
Temiamo e delle Achee. La più vil bocca385
Ve’, grideria, quai d’un eroe la donna
Chiedono a gara giovinotti imbelli,
Chè nè valgon piegare il suo bell’arco,
Mentre un tapino, un vagabondo, un giunto
Testè, curvollo agevolmente, e il dardo390
Per gli anelli mandò. Tal griderebbe;
E tinto andria d’infamia il nostro nome.
     E così a lui Penelope rispose: