Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/633

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252 odissea

Le porte del cortil troppo vicine
Sono, ed angusta è quell’uscita, e un solo,170
Cui non manchi valor, cento respinge.
Pur non temete. Io porterò a voi l’armi
Dalla stanza superna, in cui riposte
Da Ulisse, e dal figliuol senz’altro furo.
     Detto, andar su e giù per l’alta scala,175
Entrar, pigliar dodici targhe, e lance
Tante, e tanti criniti elmi, ed il tutto
Mettere in man de’ palpitanti Proci,
Fu di pochi momenti opra felice.
     Turbar l’animo Ulisse, e le ginocchia180
Languir sentì, ratto che ai Proci vide
Prender gli elmi, e gli scudi, e le lunghe aste
Ir con la destra palleggiando; e allora
L’arduo conobbe dell’assunta impresa.
Si converse al figliuol tosto, e, Telemaco,185
Con dolenti gli disse alate voci,
Certo il caprajo, o delle donne alcuna,
Raccende contro noi quest’aspra guerra.
     E Telemaco a lui, Padre, rispose,
Io sol peccai, non altri, io, che la salda190
Porta lasciai mezzo tra chiusa, e aperta;
Ed un esplorator di me più astuto
Si giovò intanto del mio fallo. Or vanne