Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/647

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266 odissea

Vecchia, non dar di giubbilo: chè vampo
Menar non lice sovra gente uccisa.520
Questi domò il destino, e morte a loro
Le stesse lor malvagitadi furo:
Quando non rispettaro alcun giammai,
Buon fosse, o reo, che in Itaca giungesse.
Dunque a dritto periro. Or tu, nutrice,525
Di’ delle donne a me, quai nel palagio
Son macchiate di colpa, e quali intatte.
     E la diletta a lui vecchia Euricléa:
Figliuol, da me tu non avrai, che il vero.
Cinquanta chiude il tuo palagio, a cui530
Le lane pettinar, tesser le tele,
E sostener con animo tranquillo
La servitute, io stessa un giorno appresi.
Dodici tra costor tutta spogliaro
La verecondia, e, non che me, la stessa535
Dispregiaro Penelope. Non era
Troppo innanzi venuto ancor negli anni
Il figlio tuo, nè su le donne alcuno
Gli consentia la saggia madre impero.
Ma che fo io, che alle lucenti stanze540
Non salgo di Penelope, che giace
Da un Dio sepolta in un profondo sonno?
     Non la destare ancor, rispose Ulisse: