Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/700

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libro vigesimoquarto 319

Si raccolser davanti alla cittade
Quasi in un globo; ed era incauto Duce595
Della stoltezza loro Eupite stesso.
Credea la morte vendicar del figlio,
E lui, che redituro indi non era,
Coglier dovea la immansueta Parca.
     Pallade, il tutto visto, al Saturníde600
Si converse in tal guisa: O nostro padre,
Di Saturno figliuol, Re de’ Regnanti,
Mostrami ciò, che nel tuo cor s’asconde.
Prolungar vuoi la guerra, e i fieri sdegni?
O accordo tra le parti, e amistà porre?605
     Perchè di questo mi richiedi, o figlia?
Il nembifero Giove a lei rispose.
Non fu consiglio tuo, che ritornato
Punisse i Proci di Laerte il figlio?
Fa, come più t’aggrada: io quel, che il meglio610
Parmi, dirò. Poichè l’illustre Ulisse
De’ Proci iniqui vendicossi, ei fermi
Patto eterno con gli altri, e sempre regni.
Noi la memoria delle morti acerbe
In ogni petto cancelliam: risorga615
Il mutuo amor nella città turbata,
E v’abbondin, qual pria, ricchezza, e pace.
Con questi detti stimolò la Diva,