Pagina:Ojetti - I Monumenti Italiani e la Guerra.djvu/24

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a sinistra; quattro a tutto colore, tre in monocromo verde a dar idea di statue di bronzo. Tra i primi, bellissimo, fuor da un mantello color ruggine, un vecchio che sostiene con una mano sul petto un giovinetto roseo e biondo, dagli occhi tondi e stupefatti, vestito d’un giustacuore di raso azzurro, adorno di una catena e d’una medaglia d’oro, chinato sopra una balaustrata a guardare giù la grande chiesa, — e adesso la grande rovina. I ritratti, si narra, di Giambattista Tiepolo e di suo figlio Domenico. A fissarli, così soli, sospesi su quella distruzione, tra il cielo scoperto e il monte di rottami, nelle prime ore dopo la catastrofe, commovevano come la presenza di figure vive, riapparse lì per un prodigio di amore e di pena.

Si pensi che, essendo l’unica navata lunga circa trenta metri, quasi duecentocinquanta metri quadrati di pittura del più luminoso immaginoso lieto delicato illustre pittore del nostro settecento furono annientati da quella offesa nemica.

Erano le finte architetture intorno al gran quadro centrale, opera di Girolamo Mengozzi Colonna, nato in Ferrara, ma oriundo di Tivoli; e nel contratto che i padri Carmelitani Scalzi avevano fatto con lui il primo ottobre 1743 (il contratto col Tiepolo è del 13 settembre) si definisce che quelli ornati dovevano essere "corrispondenti all’architettura e a’ vivi marmi che esistono in detta Chiesa"1.

Tre giorni dopo la rovina, si iniziavano la ricopertura del tetto; lo sgombero delle macerie e dei calcinacci tra i quali nemmeno un centimetro quadrato d’affresco fu ritrovato intatto; e il distacco delle pitture rimaste sui pennacchi.

La riprovazione per questo delitto fu unanime, non solo in Italia e fra i nostri alleati, ma anche fra i neutrali. Anzi in Italia, per quell’ottimismo indomabile che è il nostro conforto e la nostra debolezza, qualcuno si chiese se il nemico avesse proprio voluto deliberatamente colpire un monumento tanto insigne. Non tardò a rispondergli lo stesso nemico. L’ufficioso Fremdenblatt del 14 novembre 1915 dichiarava che anche agli austriaci dispiaceva la distruzione dei tesori dell’arte, ma questo dispiacere era diminuito dalla gioia per il danno arrecato alla nostra ricchezza e alle nostre rendite per "l’industria dei forestieri", e sperava che "questo pensiero avrebbe nell’avvenire servito di guida agli aviatori".


  1. Pompeo Molmenti, G. B. Tiepolo, ed. Hoepli, Milano.

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