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se ne ebbe qualcuno sulle arti, massime sulla più astratta e più pura delle arti, sulla musica, non riuscì nemmeno attraverso ad esse a toccar la vita reale e le norme morali. Fu un altro cielo: ma in questo nuovo cielo metafisico il sole non ha nessun calore.

Solo i filosofi inglesi hanno saputo ricondurre i principii morali aprioristici all’esperienza individuale e sociale. Perciò del più puro e persuasivo dei filosofi tedeschi, di Hegel, diceva Renan «che ci si doveva contentare di farne un’infusione: è un tè eccellente ma non bisogna masticarne le foglie». I nostri hegeliani non sono stati così prudenti.


La Musica tedesca.


Ho accennato alla musica. Solo parlando di musica tedesca, si potrebbe meglio che con qualunque altro argomento provare la mia tesi. L’arte musicale tedesca, fino a tutto il romanticismo, è sempre di derivazione italiana. Due eccezioni si possono fare a questa regola: la canzone medievale dei Minne-Sänger e, in parte, l’opera musicale chiesastica che ha il suo fiore più alto in Giovanni Sebastiano Bach e che intende esaltare il carattere antilatino del Corale luterano. L’arte polifonica vocale e l’arte organistica dei tedeschi arriva ben in ritardo non solo sulla trecentesca Ars nova fiorentina, ma anche sui grandi polifonisti italiani di Venezia e di Roma; e il suo sviluppo è dovuto all’Isaak che fu alla corte di Lorenzo il Magnifico, allo Schütz che fu a Venezia scolaro di Giovanni Gabrieli, al Kerl che studiò a Roma col Carissimi, al Froberger che, anche a Roma, studiò col Frescobaldi. E lo stesso Schütz che nel 1627 compose la musica per la Dafne del Rinuccini già musicata dal Peri trent’anni prima, non seguì le norme esteti-