Pagina:Ojetti - L'Italia e la civiltà tedesca, Milano, Ravà, 1915.djvu/27

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e di sintesi e di forza attiva. Oggi la tradizione italiana e umanistica della scuola che era educazione e insieme istruzione, è finita. La scuola oggi istruisce e non educa, obbliga a capire senza sentire, a studiare senza godere, a cercare senza raggiungere, a sapere senza vivere, peggio a imparare per dimenticare. Guardate i vostri alunni, professori: hanno studiato per otto, dieci, dodici anni il latino o il greco e non lo parlano e non lo leggono. Intendo dire che non lo leggono per amore e per capriccio, ma solo per dovere e per studio, oggi dieci versi, domani altri dieci. Che dico? Non leggono nemmeno gli autori italiani, i classici aborriti.

Il conforto, l’ammaestramento, la disciplina, la norma che da quelli scrittori eterni e dalla loro esperienza, dai loro sogni, dai loro dubbi, dalla loro saggezza, dalla loro conoscenza della vita e dell’uomo essi dovevano trarre per la loro vita intima e silenziosa, per stabilire in sè stessi un equilibrio durevole tra volontà e sensibilità, tra intelligenza e fantasia, tutto è, per colpa di questi metodi stranieri, perduto. I professori espongono, non giudicano; e gli scolari escono dalle università credendo inutile o pericoloso il giudizio, cioè il gusto. Tra l’arte e loro è una barriera. Anzi spesso odiano l’arte, stanchi, chè nessuno ha mai detto loro che una poesia o un quadro sono individui vivi, prossimo loro, spirito del loro spirito. L’arte è tutt’al più un documento, e i documenti sono un’opportuna materia di tesi. Testi senza errori, bibliografie senza lacune, monografie senza divagazioni: ecco le norme. E così la cultura è stata posta nel luogo della civiltà, la specialità nel luogo del gusto, l’intellettualismo nel luogo dell’intelligenza, la sapienza nel luogo del buon senso e spesso del senso comune. Le università italiane devono ormai per quattro quinti tutto alla Germania. L’università italiana oggi è una colonia tedesca. E in questi giorni di guerra la Germania ci conta e, da quel che ci narrano ogni mattina e ogni sera i giornali, ha ragione di contarci. Alla fine della guerra