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tregende di rivoltosi contro la società che gli aveva negato la forza, la salute, l’amore, la ricchezza, egli impazzisse di gaudio. — Ma mi dica la verità! So che a Fiori è scoppiata. So che qui scoppia oggi. Perchè me lo vuole nascondere? – e dette un ultimo guizzo e ricadde sul guanciale, le due mani alla gola, come soffocato. Avemmo appena il tempo d’alzargli la testa. Un catino di sangue egli ci empì, e poi ricadde supino, le palpebre gialle traperte sui globi degli occhi che continuavano a sussultare. Credetti che ci restasse. Dopo un’ora si riebbe, ci chiamò, ci sorrise. Un altro pensiero gli passò pel capo. Parlò sottovoce alla sorella. Diceva: – Al dottore si può dir tutto. Il dottore non parla. – Quella mi guardava dubbiosa, cercando di nascondere il suo dubbio dietro un sorriso. Dovette acconsentire. Dal fondo d’un cassetto trasse un involto, l’aprì sul letto, ai piedi del fratello. Tre orologi d’oro, due catene d’oro, una trentina di monete d’oro, austriache. Gliele aveva confidate nell’autunno del 1916 un loro cugino soldato di fanteria sul Carso, ravvolte in una pezza da piedi. Poi era ripartito, e al tempo di Caporetto era scomparso. Oramai si poteva dir morto. Quel tesoretto rubato a rischio della vita, forse sui cadaveri dei nemici, era loro, era del malato, era la ricchezza su cui egli contava appena fosse guarito. — Se ci saranno trambusti, – mi spiegava con un filo di voce, – non si sa mai, può andare perduto. Lo tenga lei, dottore, ce lo custodisca lei.