Pagina:Ojetti - Mio figlio ferroviere.djvu/105

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E a rassicurarlo che nessuno avrebbe pensato a lui e al suo oro, s’angosciava perchè sperava e credeva nella violenta improvvisa confisca dell’oro di tutti.... Ma era solo quell’agonizzante a sragionare così? Venivo giù verso piazza quando udii il primo clamore dei tumulti, e m’investì una frotta di seminaristi che correva a gambe levate, verso il duomo vicino e il vicino seminario, una mano sul cappello, una sul ventre ad alzare la veste. Due li trovai, più furbi, dietro l’angolo del palazzo Benedetti, che cercavano di nascondere sotto l’abito talare un pajo di bottiglie di cognac e che, quando mi videro, arrossirono, mi sorrisero ebeti, con l’aria d’assicurarmi: – È uno scherzo..., – e via ricominciarono a correre dietro i compagni, nel polverone. Era stato assalito il magazzino della drogheria Schiantelli, e vi trovai davanti un carretto e una fila di donne, di giovanotti, di ragazzi col bracciale rosso, che si passavano barattoli, balle, bottiglie, da dentro il magazzino fino al carro. Sul collare del cavallo avevano conficcata una bandierina rossa. Un capo, a gambe aperte sull’alto del carro, ordinava serio: – Lasciate il caffè, prendete lo zucchero e i liquori. – M’avvicinai. Qualcuno mi riconobbe: – Lo vede, dottore, quanto ben di Dio! E ci fanno pagare venti lire un chilo di zucchero. Porteremo tutto alla Camera del Lavoro. E i prezzi li faremo noi. – Qualche bottiglia di rum e di cognac s’era rotta e l’afrore inebbriava la