Pagina:Ojetti - Mio figlio ferroviere.djvu/135

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e lei zitta, lassù, a battere i denti e a rammendarsi i cenci. Poi, prudente, mandò giù i suoi ragazzi a vedere che succedeva. E i ragazzi, o fascisti che dir si voglia, si dettero a gridarle: – Mammà, vieni giù, non c’è più nessuno. Mia moglie m’aveva dunque fatto quella confidenza anche perchè non fossi l’ultimo ad aver notizia di quelli amori, nell’ambito del Comune: cose che cápitano a padri e mariti non perchè il prossimo voglia tacendo difendere la loro pace, ma perchè teme parlando d’interrompere con uno scandalo il loro scorno. Di fatto (e lo ripeto senza rossore) la notizia mi fece piacere perchè m’assicurò che almeno il cuore di Nestore restava borghese. Pure mi pose in un certo disagio perchè, o qua o là, in un paese piccolo come questo, m’imbattevo sempre nel sindaco o in sua moglie: e questa mi fermava anche in pieno passeggio e s’indugiava a parlarmi del più e del meno, e a dimostrarmi anche una deferenza timida e giovanile che mi provava una volta ancóra la facile bontà e sincerità del suo animo; e quello, il sindaco, ogni sera, al Circolo, continuava a intrattenersi anche con me, domandandomi senza ambagi le intenzioni della Camera del Lavoro, e oggi dei tranvieri che avevano presentato un ultimatum, e domani dei contadini che non volevano seminare, e posdomani dei meccanici che volevano la proprietà delle officine, e un altro giorno degl’infermieri che negli ospedali abbandonavano gl’infermi; nè poteva persuadersi che