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cato Lavoratori trasporti per ferrovia”, con millecinquecento lire al mese di stipendio, più le spese. Per questo evento straordinario ero rimasto solo. Credevo di ritrovarmi, almeno i primi giorni, un po’ smarrito. Invece, per quanto affetto, in fondo, io porti alla mia famiglia, m’ero súbito sentito non oso dire felice, ma certo meno vecchio e più leggero, con l’attrattiva quasi d’una vita nuova, senza avere l’incomodo di muovermi da casa. Cinquantanove anni suonati; medico condotto in una città di provincia la quale, per quanto s’ingegnino padri e statistiche, non riesce ancóra a superare i diecimila abitanti. Gli svaghi non sono molti. Tutto il giorno, anche al caffè, anche al Circolo, anche in farmacia, anche per la strada, quell’inaspettata allegria culminò sempre in questa domanda: “Che posso fare di nuovo adesso che sono solo?” S’era, come ho detto, d’estate, e al caffè s’incontravano sul tardi quasi tutti i villeggianti; una diecina di famiglie romane che col caldo vengono quassù dopo quindici giorni di sciacquamento nelle onde marine, per darsi l’illusione di salire in montagna (trecento metri sul livello del mare) e anche per curare i propri interessi, perchè sono quasi tutti proprietarii di qualche podere o poderuccio da queste parti e tra mietitura e vendemmia vengono così a fare i conti di quel poco che, sospirando, si degnano d’abbandonar loro fattori e mezzadri. C’era tra costoro uno scrittore di giornali, uomo equanime ed equidistante, curioso di tutto, magari, parlando con me, di medicina. Lo conosco da qua-